le donne e i dinosauri

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Ieri sera ho sentito un caro amico che stimo particolarmente. Un uomo colto, intelligente, ricco di qualità tra cui un senso dell’umorismo insidiato nell’anima. Insomma, uno che, se ci sfidiamo, vien fuori una battuta più bella dell’altra.

Gli ho chiesto come procede con la palestra e la dieta, spedendogli poi una delle mie migliaia di foto che mi son scattata con il programma “mirror” in cui appaio ammiccante e moltiplicata per due.

Gli ho scritto: “io sono dimagrita molto sai, ormai sono trasparente”

“A me sembra invece che tu sia raddoppiata”

Come si fa a non amarlo?

Dopo una sganasciata, mi risponde che il periodo di prova in palestra è scaduto.

“E che fai? Intendi proseguire? Tentenni? Oppure hai pagato l’abbonamento?”

La sua risposta, rassegnata, è stata: “ho versato ho versato, per sentire il meno possibile il terribile momento del distacco del possesso delle banconote ho fatto un bonifico online… che è meno doloroso. L’online anestetizza”

Ho passato una decina di minuti a ridere a crepapelle. Poi però mi sono soffermata a pensare.

C’è una categoria di persone, che è l’antitesi a quella a cui appartengo io, che trascorre la propria esistenza a studiare in modo meticoloso il risparmio. Io invece faccio parte di quel gruppo che, se ho cento euro in tasca, trovo subito il modo METICOLOSO per sperperarli. In tutti i campi della propria vita, questi esseri riescono a scovare il prezzo più basso, la qualità migliore ma a valore più economico.

Credo che, se fossi la sua donna, verrei frustata tutti i giorni della mia vita per gli ammanchi sul conto corrente che, inspiegabilmente, tornano a presentarsi.

Quando mi raffronto con questi geni della finanza, io mi ritrovo ad essere in totale disagio, sentendomi come quella cicala che suona e balla tutta l’estate e poi d’inverno muore di freddo e di stenti. Beh, diciamo che morirei dalla fame ma non dal freddo perchè con tutte le ecopellicce che mi ritrovo nell’armadio potrei scaldare metà della popolazione dell’Alaska.

Se loro si preparano il futuro con dedizione io preparo il mio con lo schema degli sconti online. Se loro si costruiscono la casa di mattoni depositando soldi, io costruisco la mia dimora di borse. Che poi mi ci vedrei a vivere dentro una casa fatta con pareti di Vuitton.

Qui ridiamo e scherziamo, ma il discorso è serio e profondo. Non tanto perchè siamo qui a decidere chi dei due abbia il comportamento migliore, ma perchè il confronto tra i due è davvero inconciliabile. Da una parte ci sono loro, i T-Rex dalle braccia corte come li abbiamo soprannominato noi che, per loro, siamo degli spendaccioni malati.

La scorsa settimana ho parlato con mia sorella che, quando le hanno chiesto se avrebbe accettato che le regalassero un paio di scarpe, ha risposto di no perchè ne ha già.

NE HAI GIA’?

Non si hanno mai abbastanza scarpe! Se fosse la domanda fosse stata a me, ancora che finisse la sua formiulazione, io salutavo dal finestrino della macchina già accesa, pronta per recarmi al negozio di calzature per fare razzia.

Spesso mi viene chiesto:”Ma cosa te ne fai di tutti quei vestiti che non hai abbastanza serate per sfoggiarli tutti in un anno solare?”

Embè? Riformula il concetto perchè non riesco a comprendere.

Pero’ io li ammiro sapete? Riescono a fare calcoli matematici di cui io nemmeno conosco l’esistenza. Comparare listini prezzi di ristoranti, mettere a confronto i costi di biglietti aerei calcolando anche il tasso di percentuale di risparmio tenendo conto dell’indicizzazione del tasso di cambio della moneta. Insomma, comprano poco e quel poco deve essere il meno caro. Io compro tanto e quel tanto è rapportato solamente ad una cosa: lo spazio nell’armadio.

Io non so come sarà la mia casa, non so nemmeno quale sarà il costo della mia casa, il luogo in cui si ergerà, ma so come sarà l’armadio: grande.

Una sera andai in un locale ad ascoltare musica dal vivo. Eravamo un bel gruppo di amici tra cui uno, benestante e libero professionista. All’uscita, mentre pagava, iniziò la recita del frugarsi nelle tasche e, dopo avermi rivolto uno sguardo da pentito della mafia, mi disse:

“Hai cinque euro da prestarmi? Non ho i soldi per uscire”

E’ chiaro che, conoscendo il personaggio, per lui quei pochi spiccioli erano una piccola somma che accresce il suo gruzzoletto.

Lo guardai, scambia sguardi con tutto gli altri e dissi:

“Mi spiace, finito tutto” e sono uscita in strada.

Lo so, lo so, sono stata crudele. In fondo cosa sono cinque euro rispetto le centinaia di euro che spendo in scarpe? Non volevo dargliela vinta. Volevo che capisse che non poteva trovare una spalla su cui appoggiarsi e lagnarsi, soprattutto dopo avermi accolta nella sua auto dicendo: “immagino che il cartellino di quel vestito l’hai tolto poco fa vero Elena? Oppure è ancora li appeso?”

Il risparmiatore ha un ottimo rapporto con le carte fedeltà. Preferisce la fedeltà dell’Agip rispetto a quella della propria fidanzata. Con la prima risparmia, con la seconda sperpera.

Tendenzialmente il destino cerca col lanternino questi spilorci, e assegna loro fantastiche ragazze dai capelli lunghi, gambe affusolate, piene di qualità. Ma anche piene di estensioni che devono essere sostituite ogni quattro mesi per la modica cifra di seicento euro, dedite alla palestra che annualmente richiede un migliaio di euro e vestiti provocanti che superano il valore di un’utilitaria a basso consumo.

D’altro canto succede che, per ogni uomo dal portafoglio sigillato, una donna scialacquatrice soffre perché non riceve regali costosi e luccicanti.

Il duro colpo spesso non viene superato e alla fine di queste storie d’amore, lei si consola acquistando un guardaroba nuovo per colmare il dispiacere dell’affossamento amoroso, lui si conforta prendendo in mano una calcolatrice ed un calendario, ringraziando Dio che Natale e San Valentino devono ancora arrivare e quindi tutto si è concluso senza grosse perdite di fondi.

Devo essere sincera, il mio amico frequentatore di palestre è un esemplare d’uomo a cui si perdona tutto, perché la sua simpatia contamina anche la sua spending review e se fosse diverso non sarebbe più il mio carissimo amico. Se lui passasse dall’altra parte del sistema economico perderebbe il suo appeal. Mi serve, che lui sia così. Altrimenti chi metterebbe un freno alla mia continua voglia di dilapidare il mio gruzzoletto di denaro?

Nell’eterno dilemma, lascio a voi l’ardua sentenza, ora vi saluto, vado a provare gli ultimi tre vestiti che mi sono concessa.

un bikini in più

C’è una cosa che proprio non sopporto. Non riesco a vederla. E’ più forte di me. I cassetti aperti. Devo assolutamente chiuderli, anche se solamenti socchiusi, non posso sopportarli. Qualche giorno fa, passando di corsa di fianco alla mia cassettiera, ho visto uno scempio: due dita di cassetto aperto. Ho rallentato la mia frenesia e sono tornata indietro. Il primo cassetto, quello più alto, disobbediente, non era in riga con gli altri.
“E tu che ci fai messo così?”
Con il fianco l’ho spinto e sono tornata alla mia foga ma, guardando con la coda dell’occhio, l’impenitente è tornato ad aprirsi.
“Ma come ti permetti?” ho pensato. Sono tornata indietro e, scocciata, torno a spingerlo al suo posto. Sono rimastali a guardarlo per vedere se faceva il bravo e.. con aria di sfida l’ho visto recidivo nella sua ribellione.
“Ma che cavolo…”
E li, in quell’istante, ho capito cosa stava succedendo.
I miei bikini stavano colando fuori dal cassetto. Stavano letteralmente sgattaiolando fuori dalla loro dimora per raggiungere spiagge lontane. Si, è vero, è quello il loro posto, ma non era ancora giunto il momento!!!
Con raptus violento ho aperto totalmente il cassetto incriminato e ciò che ho visto mi ha lasciata senza parole: scatoline di bikini incastrate a pressione che tra l’una e l’altra non ci passa nemeno una carta velina, buste di plastica sigillate e poste a dimora come reliquie, laccetti e coppe in ordine talmente sparso che non riuscivo a ricomporre la loro integrità.
Mi sono fermata ed ho sentito una voce, dall’alto, che mi diceva:
“Elena Elena.. quanti costumi hai? Quando li metti?”
Appoggiate le mani sui fianchi, ho guardato lassù ed ho risposto tra me e me:
“Li porto tutti. Tutti quanti. Mi servivano. Andrò al mare due giorni a settimana per cinque mesi. Non ho ESAGERATO. Mi servono davvero”
La vocina è rimasta zitta e il mio cuore si è fatto cullare dalla comprensione.
Poi però la voce è ritornata, più prepotente di prima:
“Quanti sono?”
Li conto, seccata. Cosa vuoi da me, stupida vocina? Chi sei????
“Uno, due, tre… dieci, undici, dodici… ventisette. Sono ventisette”
Non ricevendo nessuna risposta, ho iniziato a sistemare le scatoline dei miei bikini lovers, , piegare lembi dei miei my bikini, rendere più spaziosa la sede dei corpetti caipirinha Helis brain. Accarezzato Peonia ho pensato che forse non sono più ventisette ma ventotto”
“Elena…”
Ancora! Ma chi è sta voce che mi parla? Mi sono guardata attorno ma non c’era il mio fidanzato in giro per casa e mia madre non la vedevo da un pò.
“Che c’è? Chi sei? Ho preso solo quelli che mi servivano veramente, non ho preso tutto. Solo quelli che valeva la pena avere!”
Ho abbassato lo sguardo e…
“ah guarda! C’è anche la fascia limited edition di tezuk fucsia con le perline! Allora forse sono ventinove.. vabbè, siamo li insomma.. ventotto, ventinove, trenta? Cosa cambia? Quest’anno andrò in Marocco dieci giorni quindi va bene che ce ne sia uno in più!”
Ho finito di sistemare come meglio potevo il cassetto ma il delinquente ritornava ad aprirsi.
Ho deciso così di valutare il contenuto del cassetto numero due.
Mutande, push up, reggicalze, reggiseni.. reggi ti prego! Non mollare pure tu!
Ho pensato perchiò di traslocare l’abbigliamento intimo nel cassetto numero tre e di far migrare invece parte dei costumi nel secondo cassetto.
“Elena, quanti soldi hai speso per tutti questi costumi?”
“Basta!! E allora chi sei? Mi vuoi dire chi sei e cosa vuoi da me???”
“sono la tua coscienza, Elena. Facciamo due conti e vediamo quante centinaia di euro ci sono dentro il tuo cassetto?”
“NO!!!” esplodo io.
“No non voglio farlo!!! Il giusto prezzo per farmi stare bene, il giusto per farmi coccolare tutta l’estate dai miei amati costumi!”
Mi siedo sul bordo del letto e sospiro.
Un pò inizio a crollare e le mie certezze iniziano a diventare dubbi.
“Potrei vendere qualcosa… potrei vendere pasticcini di tezuk. Anche delfin di bikini lovers. Oppure rose. Vendo anche il corpetto di helis brain oro. Gea? Anche lui potrei vendere.Anche tre costumi f**k? No quelli no, non posso mi piacciono troppo. Potrei recuperare qualche soldino speso però…”
La voce, dall’aldila o aldiqua non capisco bene, m’incoraggiava.
“Si, Elena. Vendi. Non ti servono tutti quei costumi. Quando ne hai tre, sei già sufficientemente a posto. E quello li con gli ananas? Non vendi anche quello?”
Mi sono alzata, ho preso il triangolo in mano l’ho nascosto dietro la schiena.
“No, Pina no!”
Con le lacrime agli occhi e nel pieno della mia lotta con questa voce malefica, ha squillato il cellulare.
Singhiozzando, ho risposto.
“Ehi ciao Monica! Come? Ibicus tezuk? Dici che starei bene?Ma si quasi quasi potremmo fare un ordine assieme! Corro!”
Accendo il pc, metto la password e mi sembrava di sentire battere sulla spalla.
“Che cavolo…”
Non c’era nessuno, dietro di me.
Iniziavo a preoccuparmi seriamente.
“Elena… cosa stai facendo?”
Con tutta la collera che poteva scaturire dal mio corpo ho preso in mano un cuscino ed ho urlato:
“Basta! Guarda che ti massacro ok? Vattene. Io amo i costumi. Io vivo per i bikini, li porto anche il 18 dicembre di fronte all’albero di Natale ok? Quindi ti do dieci secondi per sparire per sempre!”
Uno, due, tre.
E’ scomparsa sapete? Non sento più quella voce. Svanita nel nulla.
In compenso è comparso Dike a vita alta nel carrello dello shop online di bikini lovers.
Non ho più sentito la vocina.
Qualcuna di voi l’ha udita, per caso?a bikini

Una scommessa che lascia una donna senza mutande

Cara amica,

ti scrivo pubblicamente per richiederti la chiusura anticipata della nostra sfida. Si lo so, farti una richiesta del genere è sbagliato, immorale, da deboli. Ma in fondo, non è meraviglioso essere in grado di ammettere i propri limiti?

Una settimana fa, quasi per scherzo, ho accettato la tua scommessa, senza prevedere le nefaste conseguenze da essa derivanti. Ho anche riso sguaiatamente, pensando che è la più semplice, stupida, inutile sfida che potessi fare. Oggi, dopo quasi sette giorni, mi ritrovo nella desolazione più assoluta. Molto probabilmente sarai tu, ora, a ridere di me. Ma voglio spiegarti meglio, prima che tu mi punti il dito contro.

Stamane, come tutte le mattine, ho aperto gli occhi ed ho seguito il solito rito quotidiano: whatsapp, facebook, privalia, depop, sarenza, ebay. Mi sono seduta sul letto, ho stirato i muscoli, mi sono bevuta un bicchiere d’acqua e sono entrata su zalando.

Ho visto che sulla collezione di Mangano oggi c’era un’ offerta al 20% e stavo per cliccare sull’acquisto. Ero arrivata al carrello sai? Pero’ poi ho liberato un urlo di dolore, ho lanciato il cellulare sul letto ed ho nascosto la testa sotto il cuscino, soffocando i singhiozzi e asciugando le lacrime che scendevano copiose dal mio viso, ho desistito.

Mi sono alzata, sono andata in bagno e mi son fatta una doccia per sbollire le mie ire.

Mentre inzuppavo i biscotti nel latte, mi è arrivata una notifica di Amazon che mi diceva che stava per terminare la vendita di John Galliano e che, se non mi sbrigavo, l’orologio scontato al 70% non potrà mai piu’ essere mio. Mai più? Capisci??? Mai, mai, mai più!

Io lo so che stai vivendo questo terribile momento come me, ma volevo chiederti una cosa. Sai quelle scarpe bellissime? Quelle di Marc Ellis? Quelle fucsia con il tacco a spillo in vernice? Ho sentito il negoziante. Solo a titolo informativo eh? Non per comprare. Assolutamente no. Mi ha risposto in modo gentilissimo che non può tenermi da parte le scarpe per un mese e che, in caso, potrei versare un acconto della metà. Che vorrebbe dire perdere la scommessa.

Ma non demordo sai? Non mollo. Voglio appoggiare questa iniziativa di disintossicazione amatoriale. Tanto noi non siamo malate. Non abbiamo bisogno di un sostegno psicologico in tutto ciò. Basta solo un po’ di autocontrollo. Giusto? GIUSTO? Abbiamo detto che per un mese non acquistiamo più nessun tipo di abito, nessuna scarpa, neanche una pochette. Nulla. Niente moda per un mese.

Cara amica mia, in realtà ti scrivo per chiederti una semplicissima cosa. Il 15 maggio, data di scadenza della nostra piccola sfida, ho una serata importante. Una serata alla quale presenzierò ad un casting per la selezione degli attori della fiction che ho scritto io. Tu ti rendi conto che, per me, quella serata sarà molto importante. Non vuoi che mi presenti a quell’evento senza le scarpe rosa maialino con il tacco a spillo di Marc Ellis, vero? Tu mi vuoi bene e sai BENISSIMO che mi è indispensabile l’orologio di John Galliano per quella serata. Spero che la tua clemenza arrivi a capire che quel vestito Mangano al 20% è esattamente l’abito giusto per selezionare gli attori e che nell’armadio non c’è assolutamente nulla di adatto. Non abbastanza elegante, non abbastanza bello, non abbastanza .. Mangano.

Sono qui a chiederti, dunque, se possiamo chiudere questa scommessa che abbiamo AMPIAMENTE superato entrambe e che, se mi rispondi in fretta, procedo con l’acquisto di tutto ciò poc’anzi citato.

Anzi guarda, facciamo così, nel frattempo accedo i siti e, giusto per non perdere tempo, ti avviso con un messaggio sul cellulare che ti sta arrivando questa mia comunicazione. Decidi pure CON CALMA, ma non pensarci troppo su. Anzi, ti allego all’sms il link degli orologi. Potremmo comprarne due e dividiamo le spese di spedizione, se sei d’accordo.

Vedi di rispondermi in fretta, ok?

A tra poco. POCHISSIMO.

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La ruota del tacchino

Ritorna spesso in voga l’argomento e, per quanto possa essere contrariata a parlarne, dedico queste righe al maschio in calore. Ho talmente tanti aneddoti da raccontare che potrei scrivere non un libro, ma un’intera enciclopedia. Una delle tante sere passate in un locale con amiche, mi sono imbattuta in un rituale di seduzione pari a quella di un pavone. Una volta adocchiata la femmina (la mia fortunatissima amica), il pavone si avvicina con un bicchiere di coca havana in una mano e l’altra nascosta in tasca. Io, che lo vedo arrivare alle spalle della preda, capisco immediatamente cosa sta per accadere. Incrocio le gambe, appoggio il tacco sul poggiapiedi dello sgabello e allungo una mano verso il bancone per prendermi i pop corn: inizia lo spettacolo. Cio’ che non dico con la bocca, purtroppo lo mi si legge negli occhi che il malcapitato non ha incrociato perché troppo occupato a cercare di ammaliare la donna presa di mira. Con passo elegante, si avvicina e, dopo aver finalmente incrociato il mio sguardo beffardo, schiude la ruota con grande orgoglio. Sorrido, non con lui ma di lui perché, essendo ormai veterana a questi atteggiamenti, più che un pavone dal bel piumaggio, io vedo un tacchino che gloglotta fastidiosamente. La mia amica però, felice che quell’esemplare di gallinaceo le si accosti, cede alla trappola come una gallina pronta per la fecondazione. Alzo la tessera del locale, pronta per ordinare il mio secondo bicchiere di chardonnay così da godermi la scena in piena gioia. Il fagiano in calore sfoggia un sorriso degno della pubblicità della pasta del capitano (e, a guardarlo bene, un po’ assomiglia, al capitano) e finalmente riesce a proferir parola. “Ciao, posso presentarmi?” Se potessi, mi fregherei le mani. Finalmente posso vedere l’animale in azione! Devo ammettere che la musica ha disturbato un po’ le mie capacità uditive, ma le frammentarie informazioni che mi arrivano sono le seguenti: la tua bellezza, mi piaci, vivi sola, sono single, divertirci, bevi qualcosa, sei con la tua macchina. La mia amica rovina tutto subito chiamandomi in causa e, purtroppo come spiegavo poc’anzi, i miei occhi sono molto più biforcuti della mia lingua. E’ chiaro subito che la mia presenza per lui è importante come quella di una donna nuda negli spalti nella finale della coppa Italia. Purtroppo io, più che stare al gioco della seduzione, sto alla presa in giro del malcapitato che, per questa volta, non demorde ed ha la meglio. Questa volta il ragno è stato cavato dal buco. Non sempre funziona così. La preda non sempre è così facile da circoscrivere e spesso questi pollastri vengono spennati ancor prima che il tentativo di seduzione venga messo in atto. Mi sovviene una frase che spesso sento inneggiare in modo del tutto innocuo e leggero: “ma si dai, divertiamoci un po’, mi piaci, io ti piaccio, perché complicarsi la vita con i sentimenti?” La frase che sussegue è una che recita più o meno così:” sei fidanzata? Beh ma io non sono geloso!” Capita che questi s’imbattino, loro malgrado, in donne che non s’accontentano di inserire un gettone per fare un giro in giostra ma che la giostra se la vogliono portare a casa e, per queste, diventa una questione di principio. Non sono di certo qui a fare la moralista, ma se vuoi che il tuo piumaggio mi ammali, devi farmi vedere solo quello e non il guano che fuoriesce da li sotto. Diventa pero’ una questione di principio pure per il pennuto che non si arrende al primo no. Neanche al secondo. Nemmeno al terzo e inizia la sua battaglia per raggiungere il suo intento: farti diventare la nuova amica “speciale”. Personalmente non ho mai ceduto a questi specchietti per le allodole, li reputo più pezzi di specchi rotti che portano sette anni di sfortuna. Il gioco della seduzione, per una donna, è soprattutto un gioco mentale. Se si cerca di conquistarla limitando già il suo cervello, per la femmina è eccitante come una seduta dal ginecologo che, una volta fatta spogliare, ti dice: “prego signorina, poggi la borsa sulla sedia e si sdrai qui. Ecco brava, metta le gambe li sopra” Pensate sia finita qui? Certo che no! Leggete cosa succede poi. Dopo un paio di aperitivi, è usuale per una donna recarsi al bagno. Di solito in compagnia di un’amica. Io ci vado da sola. Uscendo dalla toilette di una discoteca, un ragazzo mi prende il braccio e mi strattona. I miei occhi incrociarono i suoi e, dopo avermi sussurrato nell’orecchio un “sei la più bella del locale”, capisce chi sono. Non gli dico nulla. Parlarono i miei occhi per me. Come quando la sua ruota si è aperta alla conquista della mia amica.PicCollage

estate, mi mancavi!

Rullo di tamburi…. è finito l’inverno!!!!! Riponete i piumini nell’armadio, nascondete nell’angolo più lontano il grigiume dei vestiti invernali, imbustate le vostre ecopellicce dal manto soffice: è giunta l’ora!!! Fuori i fiori, i colori raggianti, i veli. Buttate nella cesta dei panni sporchi pigiami felpati, calzettoni di lana, moppine pelose. E’ primavera, spogliamoci bambine!!! Un momento però.. spogliamoci? Piano, un attimo solo. Togliere strati di vestiti e accorciare lunghezze non è mica cosa da poco. Voglio dire… per passare da modalità orso bruno delle Alpi a sirena guizzante dei Caraibi non è mica così semplice e immediato! Prima di tutto: il manto peloso. D’inverno CI passiamo un pò sopra, anzi, oltre, ma adesso non si può più rimandare. Una bella colata di cera calda sui bulbi piliferi è di dovere, in questo momento dell’anno. Esistono varie correnti di pensiero. Quello del: “ci penso in primavera” che spesso sono le stesse che uomini e fidanzati non ce li hanno; l’altra invece è quella data dalle amanti della cera appiccicosa che hanno uomini innamorati a casa o, per lo meno, a letto. Una volta scuoiato, l’esemplare femminile, si presenta li, arrossato, quello che poco prima una distesa di pelle bianca come il latte di capra. Le amanti della tintarella si sottopongono alle sedute alle Lampados tutto l’anno ma ci sono donne, come la sottoscritta, che all’arrivo di Maggio sono talmente bianche da sfoggiare i rigoli delle vene come una cartina stradale. Nessun dilemma, siamo donne. Ci rimbocchiamo le maniche e arrotoliamo i lembi delle mutande: si corre ai ripari.

Mi raccomando. L’ordine è il seguente.

Non fate l’inverso perchè potreste morire giovani.

Passo numero uno: la prima lampada della stagione. Entrata nella stanzetta, mi tolgo lentamente gli strati di stoffa che mi avvolgono, poggio sulla sedia i resti dell’inverno e, spalmata di crema solare e brillante come una foca uscita d’acqua, mi sdraio sul lettino, pronta ad affrontare l’esposizione solare. Il rito di preparazione prevede la focalizzazione della posizione del tasto start, quello della variazione dell’aria, quello della radio. Come il signor Spock nell’enterprise, mi preparo a decollare verso il pianeta dei tanoressici e, al momento in cui il mio cuore dice: “ora!”, premo il tasto di accensione. Si accendono le luci, vengo colpita da raggi ultravioletti che sembra mi facciano entrare in una terza dimensione ma che poi, dopo pochi attimi, vengono attutiti dalla frescura di un venticello simile a quello delle isole Canarie. Come precedentemente studiato, vado a tastoni ad occhi chiusi con la mano verso il pulsante per la stazione radio che, malauguratamente, trasmette un ronzio fastidioso di onde medie e, nonostante il tentativo di recupero, rimane fisso per tutti i lunghissimi venti minuti dell’esposizione e non c’è verso di cambiare. Finalmente riesco a spegnere il rumore e prendo posizione ma, proprio quando riesco ad assopirmi, si spegne il sole e mi ritrovo in mezzo alla Bora di Trieste al quindici di dicembre. Una volta scesa dalla navicella, vado speranzosa a guardarmi allo specchio e noto che quei venti minuti di calvario hanno prodotto solamente un lieve manto rosso sul seno e sotto le ascelle. Ma poco male, ragazze!!!! C’è tempo per abbronzarsi!! C’è un mucchio di tempo!!!! Già che ci siete, passo numero due: ammiccate all’estetista e chiedete di ammazzare il furetto (ovvero, togliere tutto il pelo superfluo) e vedrete che, una volta uscite, vi sentirete delle donne nuove. Ancora frastornata per la sovvraesposizione solare, arranco fino al lettino dove mi attendono un paio di mutandine usa e getta e una donna con un sinistro attrezzo in mano: una spatola in acciaio. Una volta infilate con disinvoltura quelle mutande di carta, osservo il pelo in eccesso che fuoriesce ma non importa, entro pochi minuti sarò liscia come un pollo passato sopra la fiamma del piano cottura. La donna, che con occhio sardonico mi regala un ghigno degno da film horror, inizia a spatolare e livellare senza pietà. Io richiedo sempre appuntamenti in orari di calma piatta per poter esprimere tutto il mio disappunto senza remore di alcun genere. I minuti, che diventano stranamente ore, passano lentamente e, mentre la leggerezza da trebbiatrice della donna mi regala acuti momenti di estrema intensità, le rivolgo parole di supplica: “manca tanto?” La risposta è sempre la stessa, anche dopo un breve strappo. “l’ultimo, tranquilla!” Sette strappi dopo l’ultimo precedentemente annunciato, dichiara solennemente: “ecco finito” salvo poi l’estrazione dei bulbi disobbedienti con pinzette malefiche. Stremata come un soldato dopo la battaglia, mi rivesto e con aria trionfante arrivo in cassa per strisciare la carta di credito.

Ma a noi non importa del dolore, è primavera, l’estate è alle porte, manca poco e quei bellissimi costumi riposti nel cassetto da mesi e mesi usciranno allo scoperto. A noi quel dolore non ci fa un baffo (non ci sono più peli, questo è certo), a noi importa solo di poter avere quel colore ambrato, vogliamo solamente risaltare l’abbronzatura con gli abiti bianchi, indossare short microscopici e mostrare le nostre belle gambe, perchè in fondo ce l’hanno spiegato fin da piccole: se bella vuoi apparire, come un cane devi soffrire!!!! Quindi basta lagnarsi, prenotate la vostra personale seduta di tortura e la felicità sarà più vicina!!!! 11136818_10206685527046863_2078489029_n

Scarpe, scarpe delle mie brame

Suona il campanello. Il cane inizia ad abbaiare come se fosse un doberman inferocito e bavoso e l’uomo al cancello rimane impassibile, sapendo benissimo che quella bestia che abbaia non arriva a pesare quattro chili. Corro giù per la tromba delle scale, perdo uno scalino ma rimango aggrappata alla ringhiera. Apro la porta di casa con i capelli simili al mocio che pulisce quelle scale appena fatte in tutta velocità con le ciabatte consumate. Arrivo arrancando al cancello col fiatone e l’uomo in tuta e cappellino mi porge un pacco.
“Ciao Elena”
“Ciao” dico con sorriso ebete.
“Mi fai lavorare eh?”
“meno male” aggiungo io, seccata.
Firmo il foglio e risalgo le scale due a due di corsa, attenta che la mia disattenzione non venga risucchiata dalla forza di gravità. Entro in casa e, incurante del fiatone, apro il pacco come un drogato apre la bustina di droga. Eccole li, belle, nuove, nel loro involucro di carta velina. Alzo il primo lembo di carta e compare un tacco. Alzo l’altro e vedo la punta. Con gli occhi che manco la più luminosa stella del firmamento può brillare, avvicino al mio viso la scarpa e l’annuso come usa l’olfatto un profumiere francesce del settecento.
Tolgo ciabatte calzini cerotti vari e m’infilo la scarpa che manco Cenerentola con il principe inginocchiato ai suoi piedi esprime così tanta felicità.
Saltello e ancheggio per casa, sfilo e sculetto di fronte allo specchio di casa, incurante che, sopra quelle calzature meravigliose c’è una tuta lisa con il buco sul ginocchio. Guardo l’immagine riflessa dallo specchio e mi sovvien un pensiero: “specchio specchio delle mie brame, chi ha più scarpe di tutto il reame?”
Dopo averle venerate per una quantità indefinita di minuti, ripongo le scarpe nella scatola e mi sdraio a letto con le braccia incrociate dietro la testa e sospiro.
Quante donne provano le stesse sensazioni mie? La gioia di una scarpa è pari alla goduria della Nutella sulla lingua. Forse è un pò più dispendiosa, ma la gioia è simile. E la gioia dell’averle è inversamente proporzionale alla loro comodità. Più il tacco è alto, più siamo pervase dal senso di onnipotenza. Salvo poi , una volta indossate, camminare come il funambolo al circo attente a non trovare un ostacolo insormontabili come un sasso, un sanpietrino, una buca sul marciapiede, un pavimento scivoloso, un tappeto peloso, un granello di polvere.
Perchè poi ammettiamolo, il gluteo si fa duro, il polpaccio si contrae, ma la rigidità corporea è pari a quella di uno stoccafisso in freezer. Sono pochi gli esemplari di femmina che si barcamenano con disinvoltura in strada per ore con questi trampolini di lancio. E’ un ordigno di grande stile, a volte servono dozzine di minuti per allacciare, intrecciare, agganciare stringhe e lacci e spesso il tutto si limita ad una camminata che va dalla camera da letto al soggiorno per accogliere gli ospiti a cena( meno male, aggiungo).
Le più temerarie e agguerrite, le domatrici di stiletti, appena rincasano dalla loro meravigliosa serata in giro a locali, dovrebbero mettersi davanti ad una videocamera e filmare il momento in cui sfilano la scarpa e mostrare a tutti prima l’espressione del viso e poi il quinto dito dei piedi. Ne vedremmo delle belle, lo so!
Comprare sneakers non è la stessa cosa. Suvvia, ditelo alla Panciera Rosa! La soddisfazione che da innalzare il nostro corpo verso il cielo non è nemmeno paragomabile a quella di entrare dentro un mocassino stringato o una ballerina con la punta tonda. Sollevarci su quei piccoli piedistalli ha un che di trionfale. Non importa ciò che avverrà dopo. Non siamo preoccupate dei tombini e nemmeno delle griglie. Non saliamo col timore di avere il tallone che sembra una sfogliatina friabile. Noi è li che vogliamo stare: erette verso il sole per godere della sua luce.
Ho barcollato parecchio, nella mia vita e la componente alcolica non è stato l’unico motivo. Il segreto non è NON CADERE, il segreto è rialzarsi come una molla affinchè se ne accorga il minor numero di persone possibili. Una sera caddi in un locale e la mia amica, alla quale tenevo la mano, sentì strattonare verso il basso la sua mano.
“Che succede, Elena?”
“Nulla, ho raccolto il rossetto che mi era caduto”
A quante braccia vi siete aggrappate come se fossero rami dell’albero che sta sopra lo strapiombo sul mare? A quanti gomiti le vostre mani si sono intrecciate con la speranza che, sfoggiando un sorriso amaliante venisse scambiato per un gesto d’affetto quando invece dentro di voi il pensiero era: “porca puttana stavo per cadere, maledetti tacchi”?
Vi ho fatte ridere? Bene, ora ridiamo ancora un pò. Voi cos’avete ai piedi in questo momento? Io ciabatte da infermiera. Non l’infermiera sexy. Quella che cambia il catetere.
SCARPE BLOGBuone scarpe col tacco a tutte!!!!!

il vestito della vergogna

Oggi voglio parlare di una cosa che mi è accaduta qualche tempo fa. Premetto che la sottoscritta, come la stragrande maggioranza degli esseri umani di sesso femminile, ha un armadio forbito di ogni ben di Dio: jeans, magliette, camicie, short, jumpsuits, abiti di corta, media, lunga misura, tacchi altissimi, medi, bassi, sneackers, zoccoli e via dicendo. Molti di questi capi non hanno mai nemmeno sfiorato la mia pelle dopo l’acquisto e l’etichetta è ancora tristemente penzolante. Capita spesso comunque che quelle etichette vengano inesorabilmente lasciate impiccate all’abito, finchè, stanca di vederle oscillanti, decido di fare adottare i miei “figli di stoffa” da qualche altro essere umano – a volte di sesso femminile, altre di sesso maschile.
Insomma, compro e rivendo per comprare e rivendere. Un piccolo – grande – bussiness che mi permette, a volte, di riparare il danno causato dal mio compulsivo desiderio di acquistare tutto ciò che penso sia indispensabile. Altre volte invece tengo i vestiti dentro l’armadio perchè c’è un effettivo utilizzo, anche se, ammetto vergognosamente, tanti vestiti sono stati indossati per pochissime ore.
Ok, dopo questa lunga premessa, vi racconto cos’è accaduto.
Zampettavo attorno al bancone di una balera nel pre cena di un noto locale vicentino. Qualcuno dei presenti lo conoscevo già. Altre facce erano nuove. Tra un mojito ghiacciato e una tartina gelata cercavo di ammazzare il tempo, la noia, la fame, il mio ex che mi girava attorno con sguardo languido alla James Blunt in brutta copia. Mi ha saluta un vecchio amico che mi ha presentato un nuovo amico che, dopo avermi parlato del solito trigono interessantissimo tra temperature esterne, weekend, ex fidanzata, mi saluta calorosamente e scompare, inghiottito dall’ondulazione remota dei glutei delle cubiste. Quella serata non fu particolarmente esilarante, ma due cose mi sono rimaste: il vestito che indossavo (un tubino in jeans con le maniche a sbuffo leopardate) e la nuova amicizia con quel ragazzo.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi e un anno dopo – più o meno – mi sono ritrovata nello stesso locale vicino allo stesso bancone. La serata era a tema: jungle. Le modalità della serata furono le stesse: mojito ghiacciato, tartine fredde, tubino in jeans con maniche a sbuffo leopardato che ruggiva trionfante. Il problema si presentò quando, oltre che allo stesso abito, mi ritrovai davanti lo stesso uomo. La seconda volta nella mia vita, a distanza di un anno. Uomo che, per la seconda volta nella sua vita m’incontrava con lo stesso vestito.
Ora, so che gli uomini non prestano attenzione all’abbigliamento di una donna ma guarda di più le curve che fa la stoffa, ma la sensazione di disagio che provai è simile a quella che prova una donna quando entra nella cucina di un ristorante invece d’inforcare la porta della toilette.
Salutai in modo svelto e freddo. Uscii dal locale poco dopo con il disagio che mi avvolgeva come il domopack.
Oggi, esattamente due anni dopo, se incontro quell’uomo lo saluto di malavoglia, provo una sorta di astio nei suoi confronti che prescinde dalla sua simpatia. Quel vestito giace nell’armadio e la sola idea d’infilarlo di nuovo mi disturba. Ho come il presagio che, se lo metto, incontrerò LUI.
Sono fermamente convinta che, se anche a voi è successo una sorta di dejà vu simile, vi starete facendo una risata assieme a me.
Ah, dimenticavo, vendo tubino in jeans con spalline in tulle leopardato. Magari incontrerete questo baldo giovine palestrato che, a mio parere, potrebbe anche pacervi.FullSizeRender