lettera d’amore

Da quel che ricordo, a me è sempre piaciuto scrivere. Fin da piccola amavo descrivere qualsiasi cosa che i miei occhi vedevano: una farfalla che volava tra i fiori, un temporale in arrivo, le amiche giù in cortile che saltavano la corda. Sono sempre stata una bambina poco attiva fisicamente ma con la mente ero un vulcano.

“Hai la testa tra le nuvole” mi rimproverava spesso mia madre, certa che non la stessi ascoltando e spesso aveva ragione lei.

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Leggevo molte fiabe, libri di storie in mondi incantati, di principesse e principi, di cani parlanti e di gnomi viventi nel sottobosco. Ritagliavo fotografie dalle riviste e, da quelle, m’inventavo storie. Chi fossero le persone ritratte mi era del tutto sconosciuto ma, con la fantasia, inventavo le loro vite: maestre di scuola, fruttivendoli, distinte signore che nella mia mente si trasformavano in cassiere del supermercato, ragazze sorridenti prendevano sembianze di magiche libellule. Il tempo passava e dalle fiabe sono passata al diario segreto dove narravo sempre di principi e principesse. Soltanto che la principessa ero io e il principe era il ragazzino di cui fantasticavo salvataggi da roghi in cui mi trovavo coinvolta e lui, baldo giovane senza paura, mi estraeva dalle macerie e mi portava in salvo.

La passione di scrivere col tempo non si è affievolita, tutt’altro, son passata a scrivere lettere d’amore al ragazzo con cui ho passato anni di struggimento, alla ricerca di vedere in lui quel ragazzo che sognavo come un vigile del fuoco che tanto agognavo.

limenagazine,ceu

Mi confidavo in lunghi scritti piangenti, gonfi di passioni andate a male, ma scrivevo e scrivevo e scrivevo lunghe teorie sul come riuscire ad essere per essere amata ma soprattutto salvata da situazioni di pericolo che non capitavano mai (e per fortuna, aggiungo oggi).

Poi son cresciuta, gli anni dell’adolescenza sono svaniti e arrivarono i venti, poi i venticinque, poi i trent’anni.

Fu in una sera d’inverno che, come ogni sabato sera che si rispetti, mi recai con un gruppo di amiche al piccolo pub che frequentavamo abitualmente. Luci soffuse, sedili in pelle rossa, pinte di birra e uomini (più o meno tali) campeggiavano tra i banconi e la porta d’ingresso, a condividere goliardici risate sguaiate e commenti quasi eleganti.

Quella sera uscii con l’intento di dimenticare qualcosa – o qualcuno. Insomma, il salvatore tardava ad arrivare. Eravamo le solite quattro amiche in una sorta di sex and the city che era più che altro un sex and the town. Primo giro di birre, pettegolezzi che non portavano a nulla, altro giro di birra, commenti sul ragazzo appena entrato: guarda che capelli che ha però ha un bel sedere, si ma è un grezzo bestemmiatore non importa questo offre il mercato no grazie non compro niente.

turismo.it

Si avvicinò al tavolo una ragazza a me sconosciuta, tranne forse una fisionomia nota ma non riconoscibile. Si sedette al tavolo con noi e iniziò a piangere. Ordinammo la terza birra perché per affrontare il dolore altrui, soprattutto se sconosciuti, necessita di un torpore mentale che solo l’alcol può donare. Scopro che è amica di un’amica seduta al tavolo con noi e non posso far altro che accettare quella specie di confessionale con musica commerciale quasi pop, quasi dance. Insomma, quasi musica. Si mise a piangere e iniziai a sentire il disagio crescere. Il suo racconto fu ricco di particolari ma, per farla breve, soffriva pene d’amore.

“Il mio uomo non si fida di me, dice che mi ama ma non sono riuscita a conquistare la sua totale fiducia, guarda il mio passato ed esprime perplessità sul voler farsi coinvolgere emotivamente con me”

Insomma, scoprii che non voleva amarla per una gelosia retroattiva di cui nessuno dei due poteva far nulla. Credo sia stata la terza birra a farmi parlare, o forse il mio spirito di crocerossina: se non potevo avere il mio vigile del fuoco che mi salvava dal pericolo, dovevo essere io la salvatrice per qualcun altro.

Mi proposi così di scrivere per lei, tra un’oliva ascolana e un sorso di birra (la quarta?)

ilrestodelcarlino

“Scrivere? “ mi chiese lei.

“Si, gli scriviamo una lettera” decisi immaginandomi già vestita da paladina della giustizia anche se, in realtà, il mio vestitino leopardato parlava di altri personaggi di fantasia. Non era importante, ciò che davvero contava era la mia determinazione. Avrei fatto coronare il loro amore a suon di tasti.

Tata Francesca

La sera stessa, tolte le vesti di Jane, ho abbandonato il pensiero del mio Tarzan e mi son messa al computer. Ho tirato mattina ma, alle prime luci dell’alba, la confessione della disperata donna rifiutata era pronta. Avevo inserito i punti salienti che lei mi aveva confidato, ne aggiunsi altri per rendere più struggente e plateale il suo amore e, a fine lavoro, mi sentii soddisfatta. Andai a dormire mentre tutti si alzavano e sognai le olive ascolane.

Consegnato il mio lavoro che reputavo vincente ancor prima di avere l’opinione dell’innamorata, non seppi più nulla. Venni ringraziata per il mio contributo e nulla più mi venne recapitato, né un responso né una birra pagata. Qualche tempo dopo, l’ho incontrata, per caso, senza prendere appuntamento e venni informata che il matrimonio sarebbe stato celebrato di lì a qualche mese.

Forse in seguito ricevetti un compenso o forse no, nei miei ricordi non c’è presenza di questa informazione, tuttavia quel suo sguardo commosso mi ripagò più di tutti gli oggetti materiali di cui avrebbe potuto farmi dono.

Claudia Bortolato

La fiaba era terminata con un vissero felici e contenti, almeno in quel momento. Non ho memoria del viso di questa donna, ho una memoria fievole e spesso distratta (come dice mia madre) ma spero che quella coppia sia diventata famiglia. Io invece sono andata avanti per anni a cercare il vigile del fuoco, poi mi sono arresa e ho capito che la sottoscritta aveva bisogno di un altro tipo di uomo: un cuoco galante che riempisse la mia pancia con i suoi manicaretti. Insomma, più che essere salvata dal fuoco, ho scelto di essere salvata dai crampi della fame.

Ma questa è un’altra storia.

1 commento su “lettera d’amore”

  1. Può sembrare una vecchia abitudine, ma anche a me piace scrivere lettere, e spesso lo faccio. A volte una lettera può smuovere montagne, altre no, ma sicuramente è un gesto che esprime bene tutto il proprio sentire. Peccato sia raro ormai.. Complimenti per essere riuscita a risolvere quella situazione 🙂

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